lunedì 30 settembre 2013

Africa: compitino per casa

AVEVO DA SCRIVERE 'NA ROBBA UFFICIALE: quindi dato che l'introduzione mi suonava benino, per quano noiosetta e precisina, la copioincollo qui dato che sulle note etiopi devo riprendere e completare ben benino e con spirito ma son stato in giro a non far del bene. Sono una personcina sincera sincera, quando mi ci metto...

 L'Etiopia sta attraversando un periodo di sviluppo con forti contrasti di luci ed ombre, ed Addis Abeba, in quanto capitale, presenta a chi vi lavora anche per breve tempo più d'uno spigolo vivo sul quale andare ad inciampare. Da un lato, in virtù del primato nel riscatto dal colonialismo (l'Etiopia è ufficialmente il primo paese africano ad aver battuto sul campo un esercito invasore, quello italiano) la capitale ospita le sedi di innumerevoli organizzazioni internazionali non solo occidentali ma anche specificamente africane. Dall'altro lato, causa spinte interne ad altre potenze mondiali, è in corso una nuova colonizzazione, di carattere economico, da parte di paesi mediorientali e orientali, prima fra tutte la Cina. Non aiuta il fatto che il paese sia una federazione spesso rabberciata, attualmente in guerra nella regione eritrea, e che la sua capitale costituisca uno stato a sé nella federazione.
Il risultato è uno sconvolgimento della vita ad ogni livello, ed alcuni accordi internazionali avvenuti ad alto livello hanno conseguenze immediate e spesso pesanti sulla vita quotidiana: durante la nostra breve permanenza, la rete telefonica 3G era stata disattivata dal primo ministro allo scopo di fare pressione sulle ditte cinesi impegnate nella conclusione, ormai molto ritardata, dei primi lavori per una ferrovia urbana sopraelevata, col risultato di rendere del tutto precaria ogni comunicazione telefonica. La rete stradale, parte dei lavori appaltati alle stesse ditte, è in condizioni a dir poco critiche: il manto stradale è una rassegna di buche, i marciapiedi sono inesistenti e spesso del tutto assenti dalla pianificazione, i tombini sono scoperchiati e lavori eseguiti meno di sei mesi fa sono nello stato di poter soltanto esser rifatti da capo perché risultino di beneficio alla vita cittadina. Tutto questo fa il paio con un traffico caotico e un parco macchine che, osservando i modelli in circolazione, deve avere un'età media di trent'anni. La rete elettrica non è migliore di quella telefonica, ma questa volta senza interventi draconiani dall'alto: la tensione cala o più facilmente manca del tutto diverse volte al giorno. La rete idrica è nelle stesse pessime condizioni, e la rete fognaria è virtualmente inesistente. Un semplice attraversamento anche sbrigativo del centro città permette di osservare quindi una sequenza di quartieri costituiti da pure e semplici baracche di lamiera, in mezzo ai quali occasionalmente spunta un vecchio edificio coloniale o poco più tardo: una villetta, una ex caserma, tutte con la cisterna dell'acqua e il generatore elettrico in giardino. Ampie zone sono state sgombrate e mostrano altissimi edifici ancora al grezzo, alti anche una decina di piani, destinati a ricevere un appariscente quanto ingannevole rivestimento in vetro e acciaio, un guscio vuoto che di notte rimane buio a causa delle infrastrutture assenti come pure a causa dell'assenza di inquilini, dato che buona parte della popolazione non può né potrà a breve permettersi di abitare appartamenti simili.
Con tutto questo, la sicurezza personale degli stranieri è tutto sommato buona, e gli italiani non sono male accolti anche in virtù della benevolenza storicamente dimostrata dal governo dopo la vittoriosa liberazione. Sicuramente passeggiando per le strade della città un farenji, un occidentale nel termine canzonatorio utilizzato dai locali, non si sente esattamente e presto a proprio agio, ma evitando la notte e alcuni quartieri si può facilmente evitare un poco auspicabile borseggio. Non ci sono stati segni di aggressività ed anzi molti passanti sono disposti a dare un'indicazione allo straniero che si aggira con aria un po' sperduta, ed in fondo i questuanti sono meno numerosi, al d fuori delle zone turistiche, di quanto non siano in alcune città d'arte italiane.

Riassumendo, la situazione in città è critica per una buona parte della popolazione, tra l'altro agitata da contrasti interni (la comunità cristiano copta è prevalente, ma ci sono larghi gruppi islamici fortemente irrequieti, anche a causa del recente divieto di costruzione di nuove mosche), eppure vive uno sviluppo economico più o meno “solido” nelle sue potenzialità future, ma sufficiente a sostenere le fasce povere della popolazione con opportunità di lavoro che, seppur spesso estranee a ogni forma di tutela per i lavoratori, sono sufficientemente appetibili ed anzi attirano ancora una migrazione interna dalle campagne. Addis Abeba accoglieva ufficialmente, al 2007, tre milioni e mezzo di persone, e le stime di quattro milioni e mezzo entro il 2013 sono probabilmente già superate da una realtà impossibile da censire fatta di bidonvilles e di decine e decine di famiglie sfollate da un quartiere all'altro per fare posto a nuovi cantieri.

giovedì 26 settembre 2013

Vado in Africa! Note etiopi da 1 a 3


Mi? ... mi vao in Africa!

Racconto minimo dell'Africa, settembre 2013


In attesa che l'Africa mi arrivi alle mani, ed esca in disegni e forse perfino dipinti, tenterò un piccolo racconto del recente viaggio di lavoro in quel di Addis Abeba. Un viaggio breve e decisamente intenso, tanto che per non perdermi nelle giornate di origami e di turismo per modo di dire, mi son dovuto tirar iù delle notarelle. Piccoli appunti, alcune "note etiopi" a futura memoria. Anzi, a futura stimolazione di memoria, dato che stimolarla serve sempre, nel mio caso. Premetto che mi piacerebbe accompagnare ogni nota con una foto, ed essere simpatico ed interessante tutto il tempo, ma ora come ora non credo di pterci arrivare, come vogli e come risorse, quindi accontentiamoci di quel che c'è, oggi, e attendiamo un domani radioso di diari di viaggio semifotografici. La speranza è l'ultima a morire, giusto?

1 C'è tanta roba da vedere che in tre giorni è passata una settimana, e le foto sono poche da deludere. C'è niente da fotografare e tanto da guardare
Addis Abeba è... caotica? Confusa? Abbandonata a se stessa? Forse non bastano, come espressioni. Tremenda? Forse ci avviciniamo. Una città che non è una città, una confusione, un mucchio di roba gettata assieme dal caso, dal (breve) tempo trascorso dalla fondazione, da vicende difficili da riassumere. Al terzo giorno, era capodanno, non i marciapiedi ma gli spazi che virtualmente avrebbero dovuto essere marciapiedi erano ingombri di pecore, o capre. Destinate ad esser mangiate a breve giro, per festeggiare il capodanno, che coincide con la fine della stagione delle piogge. L'impressione dopo pochissimi giorni è quella di aver incasinato il calendario, di essersi lasciati sfuggire qualche giorno: l'impatto è talmente forte che si pensa di aver trascorso molto più tempo per aver tanto materiale di riflessione, tante immagini da fagocitare, tanto lavoro da fare la sera prima di addormentarsi avendo riassunto tutte le novità. Guardando poi le foto scattate, sono poche, pochisime. Sono quelle che fareste in tre miseri giorni in una città che appunto non ha altro da offrire all'obiettivo se non pecore/capre, baracche tutte uguali, miseria.
Pecore, o capre, vai a capire...
2 E' una città estrema: estrema ricchezza, estrema povertà. Immagini da "Trova Wally" in una palette data da marrone, grigio, rosso grasso della terra, grigio del cielo e della lamiera. Pochi gialli nelle botteghe dei fruttivendoli. Lo smog
Cominciando dalla fine: lo smog. Tremendo, pesante, asfissiante, visibile in sospensione e nell'acqua quando ci si fa una doccia. Dicono che qui vivendo sulla strada sembri vecchio a trent'anni, e non sembra esagerato. La monotonia che si diceva sopra è dvuta anche a questa nebbia costante, che copre tutto, e sotto la nebbia ci sono poche cose da coprire, pochi colori. La lamiera onnipresente, perfino nei quartieri in restauro pannelli di lamiera coprono i cantieri, o meglio li vietano all'invasione della gente e delle baracche. Invasione tanto più plausibile considerato che ogni cantiere sotituisce un quartiere, e quasi tutti i quartieri sono baracche, più o meno dignitose. Oltre al grigio, anche del cielo in questa stagione e a questa altitudine, il bianco e azzurro di taxi e minibus. E qualche punto di giallo nelle botteghe, piccole scatole di lamiera la maggior parte, che vendono frutta e qualche altro genere più o meno inerente. Spesso meno, ma ogni angolo si improvvisa minimarket, ogni piccolo enclave di baracche ha una sua rete di servizi: il market, il salone del parrucchiere, uno o due microlocali scuri dove bere la sera.

3 La calma di San Giorgio, la rimidezza del monaco di Saint Michael, di Axum
Quasi un centro di gravità della città, San Giorgio si nasconde in un giardino di magnifici alberi, e riesce nell'incredibile intento di farti pensare che Addis Abeba potrebbe essere una bella città, se solo si volesse rigirarla come un calzino da troppi punti di vista perchè ci si possa credere. Un circolo di panchine con qualche iscrizione, sa dio di cosa, un piccolo museo con una campana donata dagli italiani e una statua del primo vescovo etiope, che aumenta di popolarità in quanto vittima degli italiani nella poco dignitosa vendetta del nostro (dis)Graziani dei bei tempi andati, belli perché andati. Da qualche parte nella collinetta occupata dalla chiesa e dal giardino, l'arca dell'alleanza. C'è stata o c'è ancora, chissà, sicuramente il furto è caduto in prescrizione, dato che se non ai tempi di Salomone, certo lo si fa risalire a poco più tardi. La gente è affezionata alle chiese e al proprio essere cristiana, in maggioranza, e quando chiedi il loro nome (in inglese mal pronunciato) se non capiscono rispondono dichiarando la propria fede, perché pare essere una domanda minima da farsi alle prime battute. Se non dovessi capire uno straniero che qui mi chiedesse il nome, penserei a tante altre domande plausibili: da dove vieni, come trovi la mia città, ecc ecc. Qui pensano alla religione come definizione di sè e della propria esperienza. Finisci per ricordarti di alcuni con il nome di Chris, che sarebbe Crhist mal pronunciato, che sarebbe christian mal abbreviato. Sul limitare della città c'è un anello di eucalipti, piantati da qualcuno un secolo e mezzo fa, forse, utilissimi se tagliati in basso per i getti sottili e lunghi. Resistenti non si sa perché la durata non è richiesta, ai materiali, in nessuna applicazione. Su un cocuzzolo c'è un monastero, con un santuario dedicato a san Michele, dove ci accoglie un monaco ansioso di comunicare, e incapace di parlare anche solo la lingua del posto. Parla solo la sua lingua, viene da Axum, a nord. Ci legge una stele che ricorda l'edificazione del santuario. Ce ne andiamo sapendo di essere friend, brither and sister. Non molto chiaro per noi, ma chiarissimo per lui che assegna i titoli in modo coerente ai componti del nostro gruppo, più e più volte. Avrà avuto i suoi motivi, ma certo avrà avuto una voglia matta di vedere altro, oltre al monastero, ogni tanto. A poterci parlare chissà, sarebbe stato interessante.

E per questa sera stop, che il sonno ha il sopravvento. Speriamo di continuare più ispirati, ma intanto come diarietto al volo sta funzionando.